Quando qualche anno fa ho trascorso qualche giorno a Monaco di Baviera, ho deciso di dedicare una mezza giornata alla visita del vicino campo di concentramento di Dachau, che si trova a circa 15 km dalla città bavarese. Un’esperienza che mi ha sconvolta e segnata profondamente, talmente tanto che non sono riuscita a guardare le foto che avevo fatto durante la giornata, e le ho lasciate in una cartella del mio pc senza mai aprirle. Almeno fino ad oggi.
L’impatto iniziale non è stato dei migliori, già quello mi ha messa decisamente k.o. Si passa infatti dai fasti di una città come Monaco di Baviera, bella, ricca, elegante, allegra, colorata e piena di vita, ad un luogo che è una specie di non luogo, separato dal resto del mondo, isolato, lasciato lì come testimonianza di una delle pagine più brutte e terribili della storia dell’umanità. Un contrasto piuttosto netto, talmente marcato che sembra impossibile che queste due realtà, sebbene lontane (ma non lontanissime) nel tempo, abbiano condiviso lo stesso territorio.
A rendere il tutto ancora più inquietante è il pesante cancello di ingresso, in ferro battuto, tutto nero, che reca la scritta ” Arbeit macht frei“, che tradotto dal tedesco vuol dire “il lavoro rende liberi”. Già questo da solo mette i brividi.
Il campo di concentramento di Dachau, costruito nel 1933, è stato uno dei primi dell’epoca nazista, ed è stato il modello a cui si sono ispirati tutti gli altri. Oggi è totalmente avvolto dal silenzio, un silenzio surreale nel rispetto di tutte quelle persone che qui hanno subito atroci violenze e che qui hanno perso la vita.
Ogni singolo edificio visitato è stato come un calcio nello stomaco. Si comincia dai dormitori, stanze nelle quali sono collocati numerosi letti a castello, e dove dormivano un numero elevato di persone. Basti pensare che l’intera struttura doveva contenere fino ad un massimo di 5.000 persone, ma in realtà i numeri sono sempre stati decisamente superiori. Poi si passa alle celle delle prigioni, piccole e anguste stanze dove non ci si poteva neppure sdraiare e dove venivano messi i prigionieri che dovevano essere puniti (come se già non fosse una punizione essere rinchiusi nel campo di concentramento).
In alcune stanze del campo di concentramento sono riportate testimonianze scritte e fotografiche degli esperimenti e delle torture che venivano fatte sui prigionieri. Alcune di queste sono dettagliate in maniera scientifica, come se si trattasse di semplici esperimenti fatti su cavie. Confesso che questa è stata la sezione che mi ha impressionata di più, forse perché è quella più reale, quella che non lascia spazio all’immaginazione, quella che dice le cose come sono andate.
Infine si arriva alle camere a gas, dove tra l’altro è possibile entrare, e ai forni crematori, che erano in funzione praticamente giorno e notte e che non erano sufficienti per bruciare l’alto numero di cadaveri. Anche questo mi ha lasciato il segno.
Il campo di concentramento di Dachau non è l’unico presente in Europa. Ce ne sono diversi, tra Germania e Polonia, dove si stima siano stati uccisi
Come arrivare al campo di concentramento di Dachau
Arrivare fino a qui, da Monaco di Baviera, è piuttosto semplice. Ci vuole all’incirca mezz’ora, occorre salire sulla metro S2 e scendere alla fermata Dachau/Petershausen, poi prendere il bus numero 726 che lascia proprio davanti all’ingresso.
Commenta per primo